Come il trauma può danneggiare il cuore

Come il trauma può danneggiare il cuore

Quanto ancora vogliamo lasciare che le ferite del passato mettano in pericolo il battito del nostro cuore?

Il cuore è il nostro motore vitale: batte instancabile, giorno e notte, sostenendo la vita con un ritmo che sembra scontato, ma che in realtà è fragile e prezioso. Da sempre, nell’immaginario collettivo, il cuore è più di un organo: è il luogo delle emozioni, il simbolo dell’amore e del dolore, della forza e della vulnerabilità. Ma ciò che la poesia ha intuito, oggi la scienza lo conferma con rigore: le emozioni non vivono solo nella mente, ma plasmano la biologia del cuore e dell’intero organismo.

Tra tutte le esperienze emotive, il trauma è quella che lascia le tracce più profonde. Non è soltanto un evento doloroso, non è un semplice ricordo che sbiadisce con il tempo. È un terremoto interiore che scuote le fondamenta della persona, frantumando certezze e sicurezza, e lasciando dietro di sé un corpo in stato di allerta permanente. Quando si subisce un trauma – che sia un abuso, una perdita improvvisa, un incidente, un’infanzia segnata da violenza o trascuratezza – il cervello registra la minaccia e la conserva come se fosse ancora presente. Non distingue tra passato e presente: per lui il pericolo non finisce mai.

E se la mente non dimentica, nemmeno il corpo lo fa.
Il sistema nervoso resta in iperattivazione, come se la persona vivesse costantemente sul filo del rasoio. Il cuore accelera, le arterie si irrigidiscono, il sangue scorre sotto pressione, gli ormoni dello stress – cortisolo e adrenalina – inondano ogni cellula. Nel breve termine, questa risposta è utile: ci prepara a reagire, a sopravvivere. Ma quando diventa cronica, si trasforma in un nemico silenzioso.

La scienza oggi lo dimostra con chiarezza: il trauma psicologico aumenta il rischio di malattie cardiovascolari. Non si tratta di una metafora, ma di un dato reale, supportato da studi epidemiologici e clinici. Le persone che hanno vissuto esperienze traumatiche mostrano più frequentemente ipertensione, aritmie, ischemie e perfino infarto. Le ricerche sulle Adverse Childhood Experiences (ACE) hanno rivelato che chi cresce in un ambiente segnato da violenza o trascuratezza porta con sé, nell’età adulta, un rischio significativamente più alto di sviluppare patologie cardiache. È come se il cuore custodisse la memoria del trauma e ne subisse le conseguenze, anno dopo anno.

Ma non è tutto: oltre ai meccanismi biologici – infiammazione cronica, squilibri metabolici, alterazioni del sistema nervoso autonomo – c’è anche il peso degli stili di vita. Chi ha vissuto un trauma può cadere più facilmente in depressione, ansia, insonnia, dipendenze: tutti fattori che aggravano il pericolo cardiovascolare. È un intreccio complesso, un circolo vizioso in cui la mente e il corpo si alimentano a vicenda nel dolore.

Eppure, in mezzo a questa visione cupa, c’è un messaggio di speranza: il trauma non è una condanna. La ricerca e l’esperienza clinica mostrano che è possibile interrompere questo ciclo. Percorsi psicoterapeutici – come ad es. la terapia online – possono aiutare la persona a elaborare il trauma, a ridurre lo stress cronico, a restituire al corpo un senso di sicurezza. Anche pratiche come la mindfulness, la regolazione del respiro, il movimento fisico e la connessione sociale contribuiscono a spegnere quell’allarme interno. Curare il trauma non significa solo ritrovare pace interiore: significa proteggere la vita stessa.

 

Obiettivo dell’articolo

Questo articolo nasce per accompagnarti in un viaggio dentro il legame invisibile ma potentissimo tra trauma psicologico e salute del cuore. Approfondiremo i meccanismi biologici che spiegano perché le ferite emotive possono trasformarsi in rischi cardiovascolari, esploreremo i dati scientifici che lo confermano e individueremo i fattori che amplificano o attenuano questa vulnerabilità. Infine, parleremo delle strategie più efficaci di prevenzione e cura, perché comprendere questo legame significa poter agire in tempo: elaborare il trauma, proteggere il cuore, e restituire all’esistenza la possibilità di un battito libero e sereno.

 

Dentro la tempesta: i meccanismi biologici che trasformano il trauma in malattia del cuore

Quando pensiamo al trauma, l’immagine più immediata è quella della sofferenza emotiva: ricordi che tormentano, ansia che immobilizza, paure che riaffiorano quando meno ce lo aspettiamo. Eppure, ciò che spesso dimentichiamo è che il trauma non resta confinato nella mente: si imprime nel corpo, ridefinendo il suo equilibrio più intimo e trasformandosi in un vero e proprio stress biologico cronico. Questa condizione, che in psicologia viene definita carico allostatico, rappresenta l’effetto accumulato di una risposta di sopravvivenza che, se protratta nel tempo, diventa essa stessa una minaccia.

Il primo meccanismo coinvolto è l’iperattivazione dell’asse ipotalamo–ipofisi–surrene (HPA), il sistema che regola la risposta allo stress. In condizioni normali, quando viviamo un pericolo, questo asse scatena un rilascio coordinato di ormoni: l’ipotalamo produce CRH, l’ipofisi ACTH, e le ghiandole surrenali liberano cortisolo, l’ormone dello stress per eccellenza. Nel breve termine, il cortisolo ci aiuta a mobilizzare energia, ad aumentare la vigilanza, a reagire. Ma nel trauma cronico l’asse HPA rimane acceso troppo a lungo, come un interruttore bloccato. I livelli di cortisolo si innalzano stabilmente e questo provoca effetti collaterali devastanti: resistenza insulinica, aumento della glicemia, accumulo di grasso addominale e alterazioni dei lipidi (più trigliceridi e LDL “cattivo”, meno HDL “buono”). Tutto ciò non solo sovraccarica il metabolismo, ma altera anche le pareti dei vasi sanguigni, favorendo ipertensione e aterosclerosi.

Parallelamente, il trauma agisce sul sistema nervoso autonomo, l’orchestra che regola cuore, polmoni e visceri senza che ce ne accorgiamo. In situazioni sane, il sistema simpatico (che accelera) e quello parasimpatico (che calma) si bilanciano. Ma con il trauma, il simpatico prende il sopravvento: il corpo resta in modalità “lotta o fuga”, con battiti accelerati, pressione più alta, vasocostrizione costante. Il parasimpatico, che normalmente porta quiete e recupero, si indebolisce. Il risultato è un cuore che lavora in eccesso e in maniera irregolare, con una variabilità della frequenza cardiaca ridotta: un indicatore clinico che segnala maggiore vulnerabilità ad aritmie e minore capacità di adattamento agli stress quotidiani.

Un altro tassello fondamentale è l’infiammazione cronica di basso grado. Quando il trauma diventa cicatrice biologica, i livelli di proteina C-reattiva (CRP), IL-6 e TNF-α si alzano stabilmente. Queste molecole infiammatorie penetrano nelle pareti delle arterie, alimentano l’accumulo di colesterolo ossidato, richiamano cellule immunitarie e creano terreno fertile per la formazione delle placche aterosclerotiche. Non solo: un’infiammazione costante rende le placche meno stabili e più soggette a rompersi, aumentando il rischio di eventi acuti come l’infarto.

Lo stato infiammatorio va di pari passo con lo stress ossidativo, ossia la produzione eccessiva di radicali liberi. Queste molecole instabili danneggiano DNA, proteine e membrane cellulari. Nel cuore e nei vasi, i radicali liberi ossidano le LDL, rendendole ancora più pericolose e aterogene. Inoltre, neutralizzano l’ossido nitrico (NO), una sostanza protettiva che dilata le arterie e mantiene elastiche le pareti vascolari. Senza ossido nitrico, i vasi diventano rigidi e la pressione arteriosa tende a salire.

Infine, il trauma altera in profondità il metabolismo. L’eccesso di cortisolo stimola il fegato a produrre più glucosio (gluconeogenesi), mentre i tessuti diventano sempre meno sensibili all’insulina. Aumentano gli acidi grassi liberi nel sangue, che possono depositarsi nel fegato (steatosi epatica) o nel cuore stesso, causando lipotossicità miocardica. Le cellule cardiache, sommerse da energia in eccesso e radicali liberi, funzionano peggio, perdono efficienza e si danneggiano più facilmente.

Tutti questi meccanismi non agiscono separatamente, ma si intrecciano in un circolo vizioso. L’asse HPA iperattivo stimola il sistema simpatico, l’infiammazione alimenta lo stress ossidativo, le alterazioni metaboliche aggravano sia l’infiammazione che l’ossidazione. È una rete che mantiene il corpo in uno stato di allerta tossico, un campo di battaglia silenzioso in cui il cuore è sempre più esposto.

Il risultato clinico è evidente: ipertensione persistente, aterosclerosi accelerata, aritmie, ischemie indotte dallo stress mentale, infarto. Il trauma psicologico, se non elaborato, diventa una vera e propria malattia cardiaca “mascherata”, in grado di compromettere la salute molto oltre il vissuto emotivo.

Comprendere a fondo questi meccanismi significa riconoscere che mente e corpo non sono separati. Le ferite emotive non si esauriscono nella psiche: scrivono la loro storia nel sangue, nelle arterie, nei battiti. Ma significa anche intravedere vie di guarigione concrete: ridurre il cortisolo, rafforzare il tono vagale, spegnere l’infiammazione e riequilibrare il metabolismo sono obiettivi possibili, se affrontiamo il trauma alla radice.

Il cuore sotto assedio: gli effetti del trauma sul sistema cardiovascolare

Il cuore è un muscolo instancabile, capace di battere miliardi di volte in una vita senza mai fermarsi. Ma quando il trauma imprime la sua presenza, questo ritmo perfetto inizia a incrinarsi. La sofferenza psicologica, infatti, non rimane confinata alla mente: si traduce in alterazioni concrete del sistema cardiovascolare, compromettendo pressione, circolazione, regolarità del battito e perfino la resistenza delle arterie.

Uno dei primi effetti osservati è l’ipertensione arteriosa. Il corpo traumatizzato vive come se fosse costantemente “in pericolo”, attivando di continuo la risposta di stress. Adrenalina e cortisolo mantengono i vasi in tensione, aumentano la frequenza cardiaca e irrigidiscono le arterie. Con il tempo, questo sovraccarico costante porta a una pressione elevata stabile, che diventa uno dei principali fattori di rischio cardiovascolare. L’ipertensione non è solo un numero alto sullo sfigmomanometro: significa un cuore che lavora sempre sotto sforzo e vasi sanguigni che invecchiano prematuramente.

Accanto alla pressione, il trauma favorisce la aterosclerosi, cioè l’accumulo di placche di colesterolo e cellule infiammatorie nelle arterie. La cronicizzazione dello stress stimola processi infiammatori che danneggiano l’endotelio, il rivestimento interno dei vasi, rendendolo più permeabile alle lipoproteine ossidate. Le molecole infiammatorie (IL-6, TNF-α, CRP) richiamano cellule immunitarie che si trasformano in “cellule schiumose”, formando placche ateromatose. Con il tempo, queste placche possono crescere, restringere i vasi e ridurre l’apporto di ossigeno al cuore e al cervello. Peggio ancora, quando diventano instabili, possono rompersi e scatenare eventi acuti come l’infarto o l’ictus.

Un’altra conseguenza rilevante è l’aumento delle aritmie. Il trauma altera l’equilibrio tra sistema simpatico e parasimpatico, riducendo la variabilità della frequenza cardiaca e rendendo il cuore più vulnerabile a battiti irregolari. Questa instabilità elettrica può manifestarsi con palpitazioni, tachicardie o fibrillazioni, che non solo creano disagio soggettivo ma aumentano anche il rischio di complicanze gravi, come l’arresto cardiaco improvviso.

Tra i fenomeni più interessanti descritti dalla ricerca c’è la cosiddetta ischemia da stress mentale. In questo caso, non serve un blocco meccanico nelle arterie per ridurre l’apporto di sangue al cuore: è lo stress emotivo stesso a causare una costrizione dei vasi coronarici e a ridurre la perfusione miocardica. Le persone con un passato traumatico, quando sottoposte a stress psicologico, mostrano più facilmente episodi di ischemia, anche in assenza di malattia coronarica avanzata. È come se il cuore “ricordasse” il trauma e reagisse restringendo le proprie vie di nutrimento vitale.

La somma di questi processi si traduce in un maggiore rischio globale di eventi cardiovascolari: infarto, ictus e malattie coronariche diventano statisticamente più probabili nelle persone che hanno vissuto traumi. Non si tratta di semplici correlazioni, ma di un legame documentato da numerose ricerche epidemiologiche e cliniche. L’esperienza traumatica, soprattutto se precoce e ripetuta, rappresenta un fattore di rischio biologico al pari del fumo, della sedentarietà o dell’alimentazione scorretta.

In sintesi, il trauma mette il cuore sotto assedio da più fronti: innalza la pressione, corrode le arterie, destabilizza il ritmo e limita l’afflusso di ossigeno. Eppure, questo quadro non è immutabile. Comprendere questi meccanismi significa poter intervenire: curando il trauma, riducendo lo stress, agendo sui fattori infiammatori e sugli stili di vita, è possibile interrompere il circolo vizioso e restituire al cuore la libertà di battere senza catene.

Il peso invisibile dei fattori di rischio: quando il trauma incontra la vulnerabilità

Non tutte le persone che vivono un trauma sviluppano le stesse conseguenze sul cuore e sul corpo. Alcuni riescono a integrare l’esperienza, a elaborarla, a costruire resilienza. Altri, invece, rimangono intrappolati in un circolo vizioso in cui il trauma diventa una minaccia biologica persistente. La differenza è determinata da una serie di fattori che amplificano o attenuano il rischio cardiovascolare, e che trasformano il vissuto psicologico in un percorso più o meno pericoloso per la salute.

Un primo elemento cruciale è rappresentato dalla frequenza, intensità e durata del trauma. Non tutti i traumi hanno lo stesso peso: un singolo episodio può lasciare un segno profondo, ma traumi ripetuti e cronici—come nel caso di violenze domestiche, abusi continuativi o condizioni di vita instabili e minacciose—creano un ambiente biologico in cui l’organismo rimane costantemente in allerta. Più lungo e più intenso è l’esposizione allo stress traumatico, più il corpo consolida risposte disfunzionali che logorano progressivamente cuore e vasi sanguigni.

Altro fattore decisivo è l’età alla quale il trauma si manifesta. I traumi infantili, noti in letteratura come Adverse Childhood Experiences (ACE), hanno un impatto particolarmente dannoso. Nei primi anni di vita il sistema nervoso, endocrino e immunitario è in fase di sviluppo e costruisce le sue basi di regolazione. Se in questo periodo il bambino vive esperienze traumatiche—abusi, trascuratezza, violenza assistita—la sua biologia si plasma su uno schema di iperattivazione cronica. Questo significa crescere con un sistema dello stress alterato, un cuore più vulnerabile e una predisposizione a malattie cardiovascolari e metaboliche che si manifestano anche decenni dopo. In altre parole, il trauma infantile imprime una cicatrice che accompagna la persona per tutta la vita, se non viene trattata.

Un terzo elemento che amplifica il rischio sono le comorbilità psicologiche. Ansia, depressione e disturbo post-traumatico da stress (PTSD) non sono solo esiti psicologici del trauma: sono anche mediatori biologici del danno cardiovascolare. L’ansia cronica mantiene alto il tono simpatico, la depressione è correlata a infiammazione sistemica e ridotta variabilità cardiaca, mentre il PTSD combina entrambi gli effetti, moltiplicando il carico allostatico. Queste condizioni non solo peggiorano la qualità della vita, ma aumentano in modo significativo la probabilità di eventi cardiaci acuti.

Non vanno poi trascurati gli stili di vita dannosi, spesso conseguenza di un trauma non elaborato. Per anestetizzare il dolore emotivo, molte persone ricorrono al fumo, all’alcol o a sostanze psicoattive. La sedentarietà diventa rifugio, il sonno si frammenta, l’alimentazione si sbilancia. Tutti questi comportamenti, già di per sé fattori di rischio cardiovascolare, diventano veri e propri acceleratori del danno quando si intrecciano con una biologia alterata dal trauma. È come sommare benzina al fuoco: il cuore viene aggredito da più fronti contemporaneamente.

Infine, un ruolo fondamentale lo gioca la presenza o l’assenza di supporto sociale. La resilienza psicologica non nasce dal nulla: si costruisce anche grazie alle relazioni, al sentirsi visti, compresi, sostenuti. Al contrario, l’isolamento, la solitudine e la mancanza di reti di protezione amplificano gli effetti del trauma. Non avere una base di sicurezza relazionale significa vivere più a lungo in uno stato di vulnerabilità, con livelli più alti di cortisolo, più infiammazione e un cuore più fragile. Studi dimostrano che le persone con scarse relazioni sociali hanno un rischio di mortalità simile a quello del fumo o dell’obesità.

In sintesi, i fattori che aumentano il rischio cardiovascolare nei soggetti traumatizzati non sono semplici “dettagli”: sono veri e propri moltiplicatori biologici e psicologici. La durata e l’intensità del trauma, l’età di esposizione, la presenza di disturbi psicologici associati, gli stili di vita disfunzionali e l’assenza di supporto sociale creano una combinazione che può trasformare il cuore in un bersaglio silenzioso e vulnerabile. Ma la consapevolezza di questi fattori è anche la chiave per intervenire: riconoscerli significa poterli modificare, riducendo l’impatto del trauma e aprendo la strada a percorsi di cura e prevenzione che restituiscano al cuore la sua forza vitale.

 

Ricucire le ferite invisibili: prevenzione e cura tra mente, corpo e cuore

Se il trauma ha la forza di incrinare il cuore dall’interno, è altrettanto vero che oggi abbiamo strumenti efficaci per fermare questo processo e restituire equilibrio al corpo e alla mente. La prevenzione e la cura passano attraverso un approccio globale, capace di agire contemporaneamente sulla dimensione psicologica ed emotiva, sugli stili di vita e sul supporto medico. Non si tratta di un percorso facile o immediato, ma di un cammino fatto di piccoli passi che, giorno dopo giorno, hanno il potere di spegnere l’allarme biologico e restituire al cuore la possibilità di battere senza catene.

Il primo pilastro di questo percorso è la terapia online. Lavorare sul trauma con un professionista, anche a distanza, significa avere la possibilità di affrontare le ferite emotive in modo sicuro, accessibile e personalizzato. La terapia online non è “un surrogato” di quella tradizionale, ma un vero e proprio strumento di cura che consente di elaborare i vissuti traumatici, ridurre i sintomi di ansia e depressione e abbassare lo stato di iperattivazione cronica che logora cuore e sistema nervoso. Il grande vantaggio è che abbatte le barriere geografiche e pratiche: la persona può connettersi dal proprio spazio di vita, senza spostamenti e senza rinunce, sentendosi accolta e accompagnata nel percorso di guarigione. È un modo concreto per ridare voce al dolore e trasformarlo in forza, proteggendo non solo la psiche ma anche la salute cardiovascolare.

Accanto al lavoro terapeutico, un ruolo cruciale lo gioca la gestione dello stress. Tecniche come la mindfulness, il rilassamento muscolare progressivo, il respiro consapevole o il biofeedback aiutano a modulare l’attività del sistema nervoso autonomo, favorendo il ritorno dell’equilibrio tra sistema simpatico e parasimpatico. In termini concreti, questo significa abbassare la frequenza cardiaca, migliorare la variabilità del battito e ridurre i livelli di cortisolo e adrenalina che, se cronicizzati, minacciano la salute del cuore.

Fondamentale è anche l’attività fisica regolare, che non va intesa solo come prevenzione cardiovascolare, ma come vera e propria terapia integrata. Il movimento riduce l’infiammazione sistemica, migliora la sensibilità insulinica, stimola la produzione di endorfine e serotonina, creando un circolo virtuoso di benessere psicofisico. Anche una semplice camminata quotidiana, se praticata con costanza, diventa un farmaco naturale per ridurre l’impatto del trauma sul corpo.

Un altro tassello chiave è l’alimentazione equilibrata. Nutrire il corpo in modo corretto significa fornire al cuore e al cervello i mattoni necessari per resistere allo stress e riparare i danni. Una dieta ricca di frutta, verdura, cereali integrali, omega-3 e povera di zuccheri raffinati e grassi trans contribuisce a ridurre l’infiammazione e a proteggere le arterie. Non è un dettaglio: ciò che mangiamo influenza direttamente i livelli di CRP e di citochine infiammatorie che accelerano il rischio cardiovascolare.

Non meno importante è la qualità del sonno. Il trauma spesso frammenta il riposo notturno, portando insonnia, risvegli frequenti o incubi. Ma il sonno è il momento in cui il corpo resetta i sistemi ormonali, ripara i tessuti e abbassa la pressione arteriosa. Recuperare un ritmo sonno-veglia regolare è quindi un atto di cura fondamentale non solo per la mente, ma anche per il cuore.

Infine, ciò che rende davvero efficace la prevenzione è un approccio integrato. La collaborazione tra psicologi, medici di base e cardiologi consente di affrontare il trauma da più prospettive: quella emotiva, quella biologica e quella clinica. Solo così si può spezzare il circolo vizioso tra stress psicologico e malattia fisica, offrendo alla persona un percorso di cura completo e personalizzato.

In conclusione, la prevenzione e la cura del legame tra trauma e cuore non sono un’utopia. Sono una realtà possibile se si lavora su più livelli: la terapia online per elaborare le ferite emotive, la gestione dello stress per regolare il corpo, lo stile di vita per rafforzare la salute, e l’integrazione medico-psicologica per proteggere il cuore a lungo termine. Perché curare la mente non è mai solo un atto psicologico: è un gesto d’amore verso la vita, e verso il cuore che ci accompagna in ogni battito.

 

Cosa può fare la Terapia Online?

Viviamo in un’epoca in cui la tecnologia ha trasformato il nostro modo di comunicare, di informarci e di prenderci cura di noi stessi. Anche la psicologia ha saputo accogliere questa rivoluzione, offrendo nuove modalità di accesso alla cura. La terapia online rappresenta oggi uno strumento potente e innovativo per affrontare le ferite invisibili del trauma, senza rinunciare alla profondità e all’efficacia del percorso psicologico. Non si tratta di una “scorciatoia” o di un’alternativa di serie B: al contrario, è una forma di terapia flessibile e moderna che mette al centro i bisogni della persona, abbattendo barriere logistiche e geografiche.

Uno degli aspetti più importanti della terapia online è l’accessibilità. Chi vive in piccoli centri, chi ha difficoltà a spostarsi o chi, a causa del trauma, fatica ad affrontare luoghi affollati e viaggi, può trovare nel colloquio online una soluzione sicura e accogliente. Basta una connessione internet per entrare in uno spazio protetto, dove poter parlare, condividere e rielaborare esperienze dolorose. Questo significa che la cura non è più un privilegio legato alla vicinanza fisica a uno studio, ma diventa un diritto accessibile ovunque ci si trovi.

Un altro punto di forza è la continuità del percorso. La terapia del trauma richiede costanza: elaborare le ferite emotive non è un atto isolato, ma un processo che si costruisce nel tempo, incontro dopo incontro. La modalità online permette di mantenere questa regolarità anche quando impegni, spostamenti o ostacoli pratici potrebbero interrompere la terapia in presenza. La possibilità di connettersi da casa, in un ambiente familiare e sicuro, riduce inoltre l’ansia e facilita l’apertura emotiva, favorendo un’elaborazione più profonda del vissuto traumatico.

Dal punto di vista clinico, la terapia online offre benefici misurabili anche per la salute del cuore. Elaborare i traumi significa abbassare il livello di stress cronico, ridurre la produzione di cortisolo, modulare l’attività del sistema nervoso autonomo e diminuire i marker infiammatori. Tutto questo si traduce in un impatto positivo e concreto sul sistema cardiovascolare: pressione più stabile, battito più regolare, minore rischio di infiammazione e aterosclerosi. In altre parole, il lavoro psicologico diventa anche un vero e proprio intervento di prevenzione cardiologica.

Non va sottovalutato, infine, il valore simbolico della terapia online: essa rappresenta un ponte tra mente e corpo, ma anche tra distanze e possibilità. È un invito a non rimandare la cura di sé, a non farsi fermare dagli ostacoli pratici e a ricordare che il supporto è a portata di mano, ovunque ci si trovi. Per chi porta dentro di sé il peso di un trauma, sapere di poter iniziare un percorso terapeutico con un semplice clic può fare la differenza tra restare intrappolati nel dolore e iniziare a trasformarlo in forza.

In conclusione, la terapia online è uno strumento che unisce comodità, efficacia e concretezza. Aiuta la mente a liberarsi dal carico del trauma e, nello stesso tempo, offre al cuore una protezione reale contro i danni dello stress cronico. Perché prendersi cura delle emozioni non significa solo guarire l’anima: significa anche dare al corpo, e al cuore in particolare, la possibilità di vivere più a lungo, più forte e più libero.

 

“Quando il trauma viene elaborato, il cuore torna a guarire.”

 

Riferimenti Bibliografici:

  1. Bessel van der Kolk (2014). Il corpo accusa il colpo. Mente, corpo e cervello nell’elaborazione delle memorie traumatiche. Raffaello Cortina Editore.
  2. Gabor Maté (2003). Quando il corpo dice no. Lo stress che ci ammala. Giunti Editore.
  3. Peter A. Levine (1997). Waking the Tiger: Healing Trauma. North Atlantic Books.

Per informazioni scrivere alla Dott.Ssa Jessica Zecchini. Contatto e-mail consulenza@jessicazecchini.it, contatto whatsapp +39 370 321 73 51. 

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